giovedì 7 marzo 2013

Dedicato a tutte le donne

 
Da un mio intervento ad una conferenza.



Mi fa molto piacere essere qui con voi, in questa serata dedicata alle donne e realizzate dalle donne.
Per parlare dell'autostima, occorre innanzitutto capire cosa sia.
Lo studioso svizzero Willy Pasini ne ha dato la definizione forse più appropriata: un giudice spietato dentro di noi.
Essa infatti gioca un ruolo fondamentale nel quotidiano di ciascuno di noi, ci condiziona nelle nostre scelte e nel nostro stesso modo di affrontare la vita.
Da un punto di vista psicologico, l'autostima è una chiave fondamentale per capire l'individuo ed il suo comportamento. Potremmo ridurre la questione ad una semplice domanda che ciascuno si pone a livello inconscio: cosa penso di me?
Ogni individuo ha una immagine di se stesso di come è e di come vorrebbe essere: più la prima, l'immagine del sé, è vicina alla seconda, quella di ciò che si vorrebbe essere, più sarà alta la nostra autostima, e viceversa. Di per sé, lo capite benissimo, è un concetto molto semplice: maggiore considerazione si ha di sé stessi, maggiore la sicurezza con cui si affronterà la vita. Si tratta, come spiega l'americana Alice Pope, di una sorta di lente di ingrandimento o di riduzione sulle nostre stesse capacità. Più avremo fiducia nelle nostre capacità, maggiore sarà la possibilità di realizzare le nostre ambizioni, ma anche più semplicemente sarà più facile relazionarsi con il prossimo.
Ma da dove nasce l'autostima? L'autostima non è un elemento innato nel nostro carattere, non è qualcosa di scritto nel DNA dell'individuo.
Essa infatti si modifica, in positivo e negativo, per tutto il corso della nostra vita, e dipende in gran parte dalle esperienze personali.
La nostra austostima migliora, o peggiora, in base diversi fattori: traguardi raggiunti, conoscenze acquisite, vittorie o sconfitte, piccole o grandi, che si ottengono nel corso di una intera vita.
Certamente la sicurezza in sé stessi, specie nel campo professionale, ma anche in tante altre situazioni, deriva da una preparazione oggettiva, di cui si è consapevoli.
Ma l'autostima è anche il frutto della società e della cultura in cui si vive e dei valori cardine all'interno della società stessa. Concetti fondamentali per il giudizio che ciascuno ha di sé stesso, come la bellezza, rispondono in realtà a canoni soggettivi: oggi abbiamo il mito della magrezza, ma cento anni fa una donna magra sarebbe stata una donna infelice. Ed in egual modo pensiamo all'abbronzatura, oggi segno di benessere, mentre un tempo prerogativa delle classi povere costrette a lavorare all'aria aperta. Ed ecco che l'aspetto fisico diventa un parametro di primaria importanza per la determinazione dell'autostima, ma appare evidente come il concetto stesso di bellezza sia suscettibile a modificazioni nel tempo.
E' evidente che non è l'aspetto esteriore a rendere una persona brutta, bensì il vissuto interiore, ma purtroppo questa consapevolezza non basta. Pensiamo ad esempio ad uno dei periodi più crudeli che tutti noi attraversiamo: l'adolescenza. Mentre il cosiddetto bello avrà più facilità, al primo impatto, ad inserirsi in un gruppo, il cosiddetto brutto dovrà fare leva su altre caratteristiche, come la simpatia, per essere accettato dalla collettività e di conseguenza da se stesso. E colui che non è accettato dal gruppo, necessariamente vivrà questo stato come una infelicità interiore.
Questa piccola digressione per farvi capire come la collettività possa influire su un parametro del nostro benessere psicofisico, l'autostima appunto, apparentemente interiore.
Per quanto riguarda la donna, pensiamo al passato, a quanto alla donna è stata negata dalla società la possibilità di realizzare sé stessa come individuo.
Nei secoli addietro – come in parte purtroppo oggi - la donna troppo sicura di sé, la donna capace di realizzarsi in ambiti diversi da quello domestico, faceva paura.
La donna aveva un ruolo fissato dalla società stessa: l'angelo del focolare dedito alla cura della casa e della famiglia.
Quante donne vennero processate per stregoneria, solo perchè dimostravano di possedere conoscenze o una sicurezza di sé, tali da far paura all'uomo?
Nel medioevo, e fino ad epoche relativamente recenti, la donna è stata considerata una figura legata al male, al peccato originale: in una società prettamente maschile, la donna era obbligata a interpretare un ruolo che non mettesse in difficoltà l'uomo stesso. Alle donne veniva insegnato che il loro compito, il loro obiettivo ideale, era quello di essere procreatrici di figli e buone mogli: da questo avrebbero tratto la propria soddisfazione.
Ma quando l'individuo femminile voleva emancipare se stessa, finiva immancabilmente con l'invadere il campo maschile e quindi dall'uomo messa al bando.
Pensiamo a esempi di grande forza, come Giovanna d'Arco, che si mise a capo di un esercito. Utile, fino a che questo ruolo permise di raggiungere un deteminato scopo, scomodo e “alieno” alla società poi. E come sapete, Giovanna d'Arco finì al rogo. Ma anche in Trentino, in epoche molto più recenti, molte donne vennero torturate e uccise, dopo processi che si tenevano in luoghi come il Palazzo vescovile a Cavalese, o il Palazzo Nero a Coredo.
Eppure già nell'antichità sono esistite donne che hanno saputo eccellere nelle arti e nella letteratura, donne che hanno saputo farsi valere per le proprie capacità. Nel Medioevo sono le monache di clausura – non a caso – a potersi dedicare alla lettura ed alla poesia. Con il Rinascimento cominciano ad emergere, pur rarissime, figure importanti che si distinguono per le proprie capacità: cito solo la prima, tra tutte, quella Sofonisba Anguissola - pittrice, poetessa e musicista – il cui talento fu riconosciuto, come ci ricorda Vasari nelle Vite, dallo stesso Michelangelo. Pensate a quale considerazione di se stessa dovesse avere una donna per poter emergere, con le sole doti intellettive, in quel mondo! In seguito, proprio con il Rinascimento e nei secoli a venire, le donne diventano protagoniste della vita intellettuale, come mecenate delle arti e della letteratura, nelle Corti e nei Salotti, dove gli artisti trovano ospitalità ed hanno modo di crearsi nuove idee.
Le donne, inoltre, cominciano a giocare un ruolo sempre più importante anche nella vita politica.
Penso ad esempio all'incredibile influenza che una cortigiana, divenuta amante del Re di Francia Luigi XV, Madame de Pompadour, ebbe sulla storia europea.
Lei fece ricorso ad una delle armi che da sempre le donne hanno usato per farsi largo nella società, la seduzione, ma seppe poi mettere in campo l’arte della diplomazia e con astuzia e intelligenza, divenire la donna più potente di Francia. Anche quando la sua relazione con il Re finì, seppe mettersi in luce con le proprie doti, tanto da divenire fondamentale nei rapporti tra la Francia ed il resto d'Europa. Perfino Maria Teresa d'Austria, altra donna di grande carisma, ma di ben altra nascita, per convincere il Re di Francia a stringere un'alleanza antiprussiana, si rivolse prima a lei. In Italia troviamo figure analoghe: mi piace qui ricordare ad esempio Cristina Trivulzio di Belgiojoso, famosa per il suo ruolo da protagonista del Risorgimento, ma attiva soprattutto nell'aprire ospedali e scuole per la gente povera. Ma queste donne, dal carattere così forte, hanno un qualcosa che le accomuna: il loro comportamento era considerato dall'opinione pubblica come scandaloso, poiché sfuggiva dai limiti imposti dalla società.
E' ovvio quindi come queste donne dovessero avere una grandissima autostima, che andava ben oltre il giudizio della collettività. Una piena fiducia nelle proprie capacità e nelle proprie forze.
Tra '800 e '900, la donna acquista finalmente il proprio ruolo nel mondo dell'arte: penso a letterate e poetesse come Grazie Deledda, a pittrici come Tamara de Lempicka e Frida Kahlo, a figure eclettiche come l'attrice Eleonora Duse. Ma ancora una volta sono persone che si distinguono dal resto della società, che appartengono ad un mondo “altro”.
Simile il discorso per il mondo scientifico, dove la donna è stata vista con scetticismo fino a tempi ancora più recenti: la Medicina, per esempio, era un campo strettamente maschile. In Italia furono pioniere in questo campo donne come Maria Montessori, che dovettero imporre la propria scelta prima di tutto alla famiglia.
Non voglio certo fare un discorso sull'emancipazione femminile, ma far comprendere quanto queste persone dovettero lottare per conquistare il proprio traguardo, il proprio sé ideale, partendo da un presupposto fondamentale: la fiducia in se stesse.
Il successo nella vita, la serenità affettiva, il benessere psicofisico, come accennavo all’inizio di questo mio intervento, dipendono anche – ma ovviamente non solo - dall’autostima.
Cito nuovamente Willy Pasini: “Sappiamo che l’uomo – scrive - è un animale gregario che ha bisogno di stare insieme agli altri, che ha bisogno di essere accettato dal gruppo ma questo bisogno, seppur fondamentale, non deve farci perdere di vista la nostra propria identità altrimenti corriamo continuamente il rischio di costruirci un falso sé.” “Talvolta rinneghiamo, purtroppo, anche alcuni aspetti positivi della nostra personalità perché ad esempio considerati come peculiari dell’altro sesso, peraltro in maniera del tutto pregiudiziale. L’esempio classico è l’aggressività in una donna o la dolcezza in un uomo… Naturalmente quando dimentichiamo aspetti del nostro sé oppure arriviamo a rinnegarne altri completamente non resta molto del nostro nucleo di identità e così siamo costretti a crearci dei sostituti di identità: ci scegliamo un modello stereotipato da inseguire e rinunciamo alla nostra spontaneità in nome dell’apparenza fino a che anche questa immagine si incrinerà perché non resisterà alla pressione della vera intimità con l’altro, alla pressione esercitata dal nostro organismo continuamente stressato dall’ansia da performance. A questo punto solo una crisi profonda  (una depressione, una crisi di panico o una somatizzazione) riuscirà a rimettere in discussione tutto quanto di falso costruito e ci potrà aiutare ad abbandonare quei ruoli ormai divenuti soffocanti, a recuperare noi stessi, a non dover più recitare e a farci amare dall’altro per ciò che siamo veramente”.
Capite quanto sia difficile per la donna raggiungere il suo sé ideale, in una società piena di pregiudizi difficili da sconfiggere.
Permettetemi ora di affrontare un argomento che ho volutamente tralasciato: il ruolo di madre.
La figura della madre è cambiata con il passare del tempo, ma il suo ruolo nella crescita dei figli è rimasto invariato. Venerata in epoca preistorica, essere che da la vita e cresce i figli, mentre l’uomo procaccia il cibo. Un modello che ha attraversato i millenni ed è arrivato, salvo rare eccezioni, quasi ai giorni nostri.
Solo con la prima guerra mondiale, una guerra industriale, dove vi era la necessità di manodopera femminile, il quadro familiare cambia, così anche la donna non si occupa più solo dei figli ma anche del lavoro. Dalla madre lavoratrice arriviamo alla madre manager dei nostri tempi: manager in casa, manager sul lavoro, manager di se stessa.
Il filo conduttore di tutte queste madri è il “ruolo di accoglienza” e, come dice Winnicot, preoccupazione materna primaria, cioè una sapienza istintiva che la madre ha nlla cura dei propri figli, che per legge naturale non sono rapidamente autosufficienti.
La donna di oggi è capace di conciliare lavoro, amore per la famiglia e ruolo sociale. Questa è la vera emancipazione.
Purtroppo, se da una parte la donna ha conquistato un proprio posto, raggiungendo spesso, attraverso le sue sole facoltà intellettive, il vertice nei campi della ricerca scientifica, della medicina, dell'economia, della politica; dall'altra emergono ancora oggi modelli che segnano una involuzione della figura della donna stessa. Modelli degradanti e superficiali, proposti dalla televisione e presi ad esempio dalle giovani donne di oggi.
Non voglio entrare in discorsi politici, che non sono certo di mia competenza, ma il quadro che emerge oggi non è propriamente una bandiera d'orgoglio per il nostro paese. La speranza è che ci siano ancora donne, che grazie alla forza della loro personalità e forti del loro sapere riescono ancora ad imporsi con le proprie idee, tutto sta alla nostra società dare loro la possibilità di emergere.
Non voglio dilungarmi oltre, ma per concludere, voglio citare un’ultima volta Willy Pasini, con parole che sono un invito a tutte noi donne: “l'autostima è un fiore che va annaffiato ogni giorno”.

d.ssa Laura Fratini